venerdì 19 novembre 2010

Non mi piacevano i cartoni giapponesi

Facciamo un bel salto indietro di 15 anni, direbbe Lucarelli (Carlo, non quello che giocava nel Livorno). La moda dei cartoni animati, finalmente una cosa carina e divertente su Facebook (il prossimo passo, suggerisco, gridare il nome del partner più bravo/a a letto. Credo che ne vedremmo delle belle) porta ad una discussione, ad una guerra che nel mio piccolo si protrae fino ad oggi.

Possibile che i cartoni animati influenzino le sorti dell'individuo? No, assolutamente, perchè altrimenti il 90% dei miei amici distruggerebbe il pianeta o combatterebbe mostri spaziali. A me però i cartoni giapponesi hanno sempre fatto ribrezzo (tolto Holly e Benji, che però mi ha illuso fino a quando non ho scoperto che battere un calcio d'angolo, rincorrere il pallone in area e colpirlo di testa non si può. Nè per le leggi della fisica, nè per il regolamento del gioco), per cui ho concentrato il mio interesse su altre cose. Apparte che poi ho fatto il Tempo Continuato (e ho scoperto di recente di essere stato uno dei pochissimi, visto che in qualsiasi altra scuola dell'emisfero nord al pomeriggio si stava quasi sempre a casa, ad averlo sperimentato) quindi uscivo da scuola alle 5, poi andavo a calcio o a girare in bici per cui tornavo e i cartoni erano già finiti.

Il mio idolo in assoluto era Wile il Coyote. Ridevo come un pazzo quando gli esplodeva qualcosa in mano, ma ho sempre sperato che catturasse quello stupido struzzo. Visti gli sviluppi dei miei successivi 15 anni posso dire serenamente che su di me i cartoni hanno avuto un'influenza decisamente pesante.

Goldrake, Ken il Guerriero, i Cavalieri dello Zodiaco e i Cinque Samurai li lascio a chi non si è mai chiuso fuori casa senza chiavi o non ha mai perso la sua fermata ferroviaria dormendo fino al capolinea (50 km oltre).

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